La seconda consuetudine anormale che mi viene in mente in ordine sparso è quella di ricorrere a farmaci capaci di abbassare la temperatura corporea non appena si manifesta una febbre.
Nei programmi di scienze delle scuole medie degli anni '70 (ma credo anche prima) s'insegnava che la febbre non era una malattia in sé ma la manifestazione esteriore di una reazione organica vitale che, attraverso all'aumento delle attività metaboliche, riusciva a rimediare più velocemente ad una condizione di malattia come ad esempio poteva essere quella provocata da un'infezione batterica in corso.
La letteratura medica ci avvisava però che, qualora la temperatura corporea avesse dovuto superare determinati limiti - allora si diceva 42°C - essa andava abbassata artificialmente con impacchi di acqua fredda soprattutto attorno alla testa per scongiurare danni cerebrali.
La farmacopea ci mise allora a disposizione appositi farmaci per ottenere chimicamente lo stesso effetto ma il problema attuale è che di questi farmaci se ne abusa senza alcuna esigenza reale, con l'unico risultato di allungare i tempi di guarigione o comunque inibire almeno in parte la positiva reazione organica. Eppure, soprattutto nelle conversazioni tra mamme "esperte" e mamme preoccupate dei 37,5° misurati al proprio bambino, il termine più ricorrente è il nome di un noto farmaco che promette di abbassare in modo rapido (tachys in greco...) il fuoco (piros) della febbre...
...vi pare normale?