Ieri sera ho rivisto un bel film televisivo intitolato in Italia "La parola ai giurati", pluripremiato remake del '97 di un omonimo film opera prima di Sidney Lumet [12 Angry Men - USA 1957].
La storia è molto interessante e sempre attuale. Verte sull'analisi di un omicidio di cui l'autore sembra individuato oltre ogni ragionevole dubbio e la giuria è chiamata ad emettere un verdetto all'unanimità, proprio allo scopo di escludere qualsiasi dubbio sulla colpevolezza dell'unico imputato.
Il presidente della giuria apre la seduta leggendo le conclusioni del processo ed al momento del voto, solo uno dei giurati dichiara la sua convinzione di non colpevolezza, pur non essendo del tutto certo dell'innocenza dell'imputato, aprendo così un tesissimo dibattito a 12 che caratterizzerà tutto il resto del film.
L'opera cinematografica è da vedere perché è molto bella anche perché dipinge dei modelli caratteriali e comportamentali molto diffusi non solo negli USA. Uno vero scontro d'opinioni più o meno preconcette e punti di vista tra benpensanti acculturati e superficiali uomini della strada di diverse estrazioni sociali e culturali, di quelli scontri che si possono apprezzare nei talk-show nei quali non ci si premura più di tanto di evitare che le persone parlino tutte assieme. Fortunatamente, questo nel film non accade ed i dialoghi sono tutti perfettamente comprensibili.
Il personaggio che rimette in discussione tutto l'impianto accusatorio è un attempato architetto, interpretato da un maturo ma efficacissimo Jack Lemmon [a sinistra nella foto di scena, il film televisivo è a colori], che con la logica ed una serena analisi (nonostante gli insulti e le provocazioni degli astanti più violenti ed intolleranti) dimostra che non esiste neanche una prova certa in grado di condannare il presunto colpevole.
Processi mediatici |
Nonostante risulti ormai acclarato sia dalla letteratura che dalla cronaca che molto più spesso di quanto non si voglia ammettere, i processi non individuino con certezza i veri colpevoli ma basino le loro verità processuali fondamentalmente su apparenze e preconcetti, è consueto assistere a processi-spettacolo in cui il colpevole è designato dai media prim'ancora che dall'analisi processuale che poi, chissà perché, quando un processo diventa mediatico, procede con una velocità sconosciuta a tutti gli altri processi.
In tal modo si è accusata la Franzoni, i coniugi di Erba, le cosiddette "Bestie di Satana", ecc. ecc. nonostante non esista alcuna dimostrazione logica che possa supportare la condanna né la possibilità materiale che a compiere gli atti di cui sono accusati siano stati proprio loro. Anche di Bossetti è comprovata l'innocenza eppure è in carcere da un anno e di casi simili ce ne sono tanti altri.
Così arriviamo al più recente dei processi mediatici, quello che vede accusato di omicidio un italiano di Fermo che si è semplicemente difeso con un solo pugno da un'aggressione da parte di una coppia di ladri d'auto.
Ma gli aggressori sono negri(*) ed extracomunitari quindi innocenti per definizione mentre l'italiano è colpevolmente un "ultrà" e, nonostante siano inchiodati da diverse testimonianze oltre alla manifesta falsità della deposizione rilasciata dalla vedova del ladro, a lei è stata assegnata una pensione prim'ancora dell'emissione di un verdetto certo e l'ultrà è ancora in carcere.
Per di più - e questo è lo scandalo più inconcepibile - al centro del fascicolo (non all'inizio o alla fine) depositato agli atti dalla Procura di Fermo mancano ben 150 pagine, guarda caso proprio quelle relative alle testimonianze che scagionano l'accusato!
Questa è la (in)giustizia in Italia: i primi criminali sono da individuare tra gli stessi inquirenti e l'unica speranza è che la parte onesta della magistratura non esiti ulteriormente a disfarsi della sua parte marcia. Noi siamo con loro e non devono aver paura.
*) Uso compiutamente l'aggettivo "negri" nel pieno rispetto dell'omonimo ceppo razziale, aborrendo l'uso dell'appellativo retrogrado e razzista "nero" che ritengo discriminatorio ed improprio in quanto basato unicamente sul colore della pelle. Basta col razzismo, cominciando dalla correttezza nell'esprimersi.