sabato 27 maggio 2017

Lavoro per tutti


Durante gli Anni di Piombo frequentavo un Istituto Professionale in Toscana, una tra le regioni rosse per eccellenza, di quelle in cui senza la tessera fasc... - pardon - comunista, era quasi impossibile ottenere una licenza o un posto di lavoro pubblico e se nonostante ciò ci si riusciva, si poteva star certi di essere sottoposti costantemente a controlli e vessazioni. Diversi imprenditori privati dissidenti erano costretti a chiudere a causa di continui boicottaggi ed attacchi alla loro attività e tra questi ricordo un piccolo industriale amico di famiglia, tra l'altro un vero genio leonardesco nelle sue cose, titolare di diversi brevetti, incapace però di nascondere le sue idee non allineate. Negli ultimi tempi della sua resistenza civile, aveva rimosso tutte le insegne dal suo opificio, affittato a terzi i capannoni fronte strada allo scopo di dare meno nell'occhio del Grande Fratello comunista, e riuscì a trovare uno sbocco di
mercato in provincia di Salerno per i suoi prodotti.
Ma nonostante il brillante lavoro di una vita, non riuscì a lasciare la famiglia in una situazione economica agiata.

Io stesso provengo da una famiglia che tra gli anni '60 e '70 si sarebbe definita agiata, formata quasi esclusivamente da liberi professionisti (sostanzialmente medici ed avvocati salvo eccezioni di minor livello professionale) che ovviamente - in condizioni "normali" - con la massima naturalezza avrebbero istradato i figli verso professioni simili alle loro o in alternativa di eguale o maggior prestigio sociale. Non per nulla, ma è nell'istinto dell'Uomo cercare di migliorarsi ed ottenere di più: è una delle velleità che ci distinguono - ma neanche tanto - dagli animali.
Ma non tutti i contesti rimangono "normali" per sempre e allora, come nel mio caso, può succedere che un padre di famiglia muoia anzitempo lasciando un figlio men che adolescente ed una moglie semiparalizzata a causa di una vaccinazione "contro" la poliomielite che all'inizio degli anni '60 infestava l'Italia (la vaccinazione, non la polio che era da tempo in regressione spontanea in tutto il mondo).
Mi ritrovai così a vivere in una condizione sociale declassata nel giro di pochi anni: da quella di figlio di liberi professionisti a quella di figlio minorenne di un'invalida che viveva con tre pensioni ma il cui ammontare era spesso insufficiente a farci condurre un'esistenza serena. La nostra salvezza - che sembra esemplificativa di quello che sta succedendo oggi in Italia - fu costituita a lungo dalla possibilità di poter (s)vendere qualche proprietà più o meno improduttiva ma intanto diventavamo sempre più poveri, non tanto quanto a inesistenti depositi bancari ma quanto a proprietà che almeno in potenziale avrebbero potuto rappresentare una fonte di agiatezza.
Ma un minorenne ed un'invalida non possono essere in grado di gestire al meglio e rendere produttive delle proprietà ad oltre 500km di distanza dalla propria residenza e quindi fu inevitabile che una pletora di sciacalli sciolti si desse da fare, nel tempo, per spolpare il più possibile ed appropriarsi dei nostri possedimenti.

Fu così che, in un contesto esistenziale mutato, in cui i retaggi della nostra posizione sociale diventavano sempre più deboli anche grazie al nostro allontanamento dall'originale centro di gravità della famiglia, cominciai a vedere il mondo da un'ottica più... proletaria, avrebbe detto Pasolini.
Certamente, con mio padre in vita, medico chirurgo con due specializzazioni ed in predicato di diventare Senatore della Repubblica, non mi sarebbe neanche venuto in mente di frequentare una Scuola Professionale per Meccanici Autoriparatori ma, come ho precisato, i retaggi di famiglia stavano sfumando e la mia passione per i motori mi spinse in tal senso.

Dove volevo arrivare? Ah sì, ad un mio tema in classe (o a casa, boh?!?) sul "problema della disoccupazione" (spiego dopo le virgolette), assegnato dopo almeno una lezione sull'argomento o comunque lo studio di materiale didattico dedicato.
Manco a dirsi, fui l'unico della classe (non perché più intelligente ma perché probabilmente meno plagiato da condizionamenti culturali rispetto agli altri) ad inquadrare il problema sotto un'ottica alternativa: per me (all'epoca) non esisteva un vero problema generalizzato di disoccupazione ma di sottoccupazione. Sviluppavo il concetto facendo presente che in base alle mie esperienza personali ed osservando il prossimo, avevo riscontrato che se proprio uno si dà da fare per cercare un lavoro retribuito lo trova e ci campa pure (sempre all'epoca, a soli dieci anni dal boom economico del Paese), tutt'al più trova - e deve accettare - un lavoro meno qualificato della suo livello di competenza. Ma in un ambiente rosso a Pensiero Unico, non era neanche possibile pensare questo: suscitai una specie di reazione isterica nell'insegnante che si vide intaccare la credibilità di un suo dogma, quello che in base a qualche principio del tutto infondato incolpava padroni & fascisti della mancanza di lavoro, e che dava ossigeno a quelle formazioni politiche sinistre che in un benessere economico diffuso vedevano sfumare ogni loro ragion d'essere.

Oggi sosterrei tesi leggermente diverse o meglio integrate da altre considerazioni ma il concetto di partenza è che ancor oggi si assiste ad una lamentazione generale della mancanza di lavoro da parte di sempre più italiani senza mai centrare e discutere del nòcciolo del problema (come accade per moltissime delle questioni sensibili nel nostro Paese, ampiamente dibattute su aspetti marginali ma del tutto incomprese nelle loro essenza):
Il lavoro non può essere considerato un fine ma un mezzo. Questo cambiamento di paradigma non è da poco: c'è gente che soffre o s'è addirittura suicidata perché sente che con la mancanza o la perdita di lavoro ha perso anche la sua dignità! Ma quando mai ed in base a quale considerazione logica e razionale, un lavoro conferisce di per sé dignità?!?
Il (falso) problema della mancanza di dignità "lavorativa" può essere avvertito come tale solo da persone che non hanno problemi a sbarcare il lunario oppure che sono plagiati da un modo di pensare diffuso ma altrettanto privo si senso.
Perché è chiaro che non è col lavoro che ci si sostiene ma con la disponibilità economica, anche intesa sotto forma di cibo ed un posto (preferibilmente ma non necessariamente) di proprietà dove stare.
Stabilito questo, non ha alcun senso manifestare o dibattersi perché "non c'è lavoro" e magari prendersela masochisticamente con gli imprenditori perché non assumono o chiudono per trasferirsi in un Paese normale. Creare posti di lavoro, soprattutto in un Paese a vocazione industriale e ricco come il nostro è facilissimo, non è necessario essere un genio: basta rimuovere ostacoli burocratici e regimi fiscali vessatori, accordi internazionali lesivi del mercato interno, tagliare le principali teste in Parlamento ed ecco che lo spirito imprenditoriale INDIVIDUALE che alberga in una larga fetta degli italiani, una volta libero di manifestare la sua creatività, creerà in brevissimo tempo tanti di quei posti di lavoro che bisognerà favorire l'immigrazione di manodopera dall'estero.

Berlusconi fu preso in giro quando promise un milione di posti di lavoro ma è chiaro che mettendo gli imprenditori in condizione di... imprendere, in un Paese privilegiato e popoloso come l'Italia non ci vuole nulla a crearne i presupposti. Siamo 57 milioni, sarebbe come dire che ogni 57 italiani, ce ne sia solo uno che con le sue disponibilità e con il suo spirito imprenditoriale, metta su un'attività che richiede l'assunzione di un solo dipendente. Io rappresento un esempio calzante in merito perché quello che ho prodotto in vita mia, molto spesso ha comportato l'assunzione di un dipendente. Ed altrettanto esemplare è il fatto che sono stato costretto a chiudere delle attività - o a non avviarle neanche - perché non in grado di far fronte alle vessazioni di stampo fiscale e burocratico.
Quanti ne conoscete come me ogni 57 italiani di vostra conoscenza?
Il lavoro, il posto di lavoro, è un'invenzione, un'esigenza ed un'esclusiva creata dallo spirito imprenditoriale, per non dire dagli imprenditori intesi come individui: solo un imbecille o un comunista affetto da Lotta di Classe Cronicizzata non è in grado di capirlo.

Ora, che molti, in difesa dell'immigrazione selvaggia e pianificata che affligge il Paese, vedano il fenomeno come un apporto di  manodopera a basso costo (potenziale, perché per lo più si fanno mantenere) ed accusino gli italiani di non voler accettare lavori che gli immigrati non esitano ad accettare (tra quei pochi che vengono in Italia in cerca di lavoro, sono facili da individuare: arrivano qui con gli stessi identici  mezzi che usiamo noi per spostarci, non grazie alle ONG) è totalmente falso o relativo a quello che ho sopra esposto, riassumibile con questo concetto:
lo spirito che ha animato l'umanità fin dalla sua comparsa è quello di migliorare la propria condizione di vita. Essendo in passato pervenuti ad una determinata condizione, è ovvio e naturale che alcune opportunità di lavoro non le "vediamo" neanche, non per nulla ma perché guardiamo naturalmente avanti verso un miglioramento. Per di più, c'è da fare i conti con un condizionamento psicologico e sociale che se ci vede fare un passo indietro sociale rispetto ai nostri genitori, non creiamo sofferenza solo a noi ma soprattutto ai nostri familiari: quale mamma non vorrebbe che suo figlio vivesse un'esistenza migliore della sua? Mia madre, quando i vicini osservavano che cambiavo spesso auto (tutte usate e di valore minimo se pur appariscenti) rispondeva loro che IO potevo permettermelo, anche se in realtà non vivevo una situazione economica stabile come la sua.

Ed in ultimo un'altra considerazione sulla smania lavorativa degli italiani che però non vogliono sentir parlare della cause che portano alla mancanza di lavoro: ma quando mai è stato un (vero) problema la mancanza di lavoro per i giovani?
La stragrande maggioranza di essi ha le spalle coperte dai genitori, non ha da sostentare una famiglia con figli, non è perseguitato da Equitalia e dall'Agenzia delle Entrate e non è in debito verso creditori, è in grado di svolgere mansioni di lavoro impensabili per il fisico di un adulto, possono essere assunti come apprendisti, possono accedere ad incentivi, possono fare gli acrobati o i giocolieri, rubare, scippare, prostituirsi prima di morire di fame ed essere giustificati a lamentarsi! Insomma, a parte esempi più o meno sarcastici, bisognerebbe preoccuparsi di più, molto di più, quando a non trovare lavoro è un cinquantenne con famiglia a carico, non certo un giovane che in qualche modo può riuscire ad evitare di suicidarsi per attirare l'attenzione sulla sua condizione.
Per questo, e per rendere impossibile qualsiasi opera di discriminazione in base all'età, sesso, razza, etnia o nazionalità, i curricula non dovrebbero riportare alcuna indicazione (quindi neanche il Codice Fiscale) dalla quale sia possibile risalire ai parametri sopra esposti, ma solo il livello di qualifica professionale. E se ciò premia i cinquantenni in luogo dei più giovani, tanto meglio!! Più si è qualificati, meglio si produce ed a guadagnarci è tutta la collettività, giovani compresi.

Gli unici Paesi in cui tutti hanno un lavoro e per la maggior parte percepiscono un salario da sopravvivenza sono quelli sotto dittatura conclamata: noi stiamo andando in questa direzione. Sarà contento chi cerca lavoro in quanto tale e non perché permette di vivere, senza darsi da fare per crearne i presupposti.