sabato 12 maggio 2012

Una formazione scientifica è indispensabile per l’interpretazione della realtà


Una delle più grandi truffe perpetrate ai danni delle masse inconsapevoli è, appunto, quella di fare in modo che rimangano inconsapevoli.
Un’accurata  disinformazione è la norma da molto prima di quanto si possa immaginare: se ne parla come arma  in modo da modificare a proprio favore il campo di battaglia ovvero il contesto in cui si svolgerà la disputa – poco importa se a livello militare, politico o diplomatico – già in quell’Arte della Guerra risalente forse al VIsec. A.C.  che molti grandi condottieri del passato e del presente mostrano di aver studiato o quanto meno emulato nella filosofia, da Giulio Cesare a Napoleone, dai leader comunisti a quelli globalisti anglosassoni. Il Confucianesimo che ancora guida le strategie della classe dominante cinese ha attinto a piene mani dagli scritti di Sun Tzu.
La differenza sostanziale tra l’arte della guerra concepita in oriente e quella tipicamente occidentale non consiste tanto nelle tattiche di battaglia – che dipendono in maniera determinante dalla tecnologia a disposizione delle parti – ma nel concetto di onore. Per noi occidentali intrisi di cultura cristiana ed umanistica, l’onore non prescinde dalla lealtà, dall’altruismo, dal senso di giustizia, dal profondo rispetto per l’avversario anche dopo la sua sconfitta mentre l’onore orientale si basa su ben altre virtù pragmaticamente riassumibili nella capacità di vincere senza neanche dare battaglia.
Com’è possibile vincere senza neanche dare battaglia?
La disinformazione, la menzogna, l’inganno, la corruzione, i rapimenti, la tortura, il genocidio selettivo, il plagio delle opinioni sono tutte tecniche aborrite dalla nostra cultura (solo aborrite ma come vedremo, in pratica utilizzate da sempre) mentre per quella orientale rappresentano solo dei mezzi possibili per ottenere il fine ultimo che è quello della supremazia. E se consideriamo tutte queste tecniche per quello che sono in realtà: delle armi vere e proprie, comprendiamo immediatamente che, a parità di tecnologia e dispiegamento di forze, tali armi “non convenzionali” costituiscono un argomento determinante  nello stabilire le sorti di una disputa. La coscienza di questo  aspetto fondamentale ma occultato dalla storia ufficiale, permette di stabilire che a rigor di calcolo statistico è quasi impossibile, anche in Occidente, che le guerre siano mai state vinte dai “buoni”. Come abbiamo visto, quelli che la nostra visione del mondo classifica come buoni sono quelli che in base a precetti cristiani e cavallereschi non si abbasserebbero MAI E POI MAI (sembra di sentire il BUON Brancaleone alle Crociate…) alla frode ed all’inganno ma unicamente ad affrontare la pugna sorretti dalla loro fede e da una conoscenza approfondita del mestiere delle armi.
In occidente, oltre alle idee di qualche leader illuminato e vincente (almeno per un po’…),  bisogna aspettare Machiavelli per apprezzare in Occidente una filosofia che vada oltre i concetti cavallereschi e religiosi.
Chi sono i buoni allora?
I perdenti, quelli che la storia dei vincitori ha dipinto spesso come mostri sub-umani colpevoli - solo loro – delle più immonde nefandezze, hanno tutte le probabilità di essere stati i veri buoni, quelli che non sarebbero mai ricorsi a mezzi disonorevoli per vincere e neanche per difendersi.
Leggendo così la Storia, questa volta con la maiuscola, scopriamo che essa ha sempre funzionato al contrario di come ci è stato spiegato ed insegnato: sono i cattivi inumani che hanno tutte le probabilità di vincere ed hanno vinto, non certo i buoni zavorrati come sono dalle loro coscienze.
Così come è da ingenui pensare che siano realmente mai state combattute guerre motivate solo da nobili intenti come quelli di liberare un popolo da un oppressore o da una minaccia: questi sono argomenti buoni solo per racimolare i consensi  ed il denaro sempre necessari per qualsiasi grande impresa. Inoltre, un nobile fine o una minaccia incombente costituiscono gli unici argomenti validi che possano convincere un uomo a lanciarsi senza indugio in missioni di guerra, a meno che non si tratti di un semplice mercenario.
In realtà tutte le guerre mai intentate hanno motivazioni puramente economiche, nel senso ampio del termine, e non a caso Ezra Pound affermava che chi non s’intende d’economia, non capisce affatto la storia.
La capacità di interpretare la realtà.
Dopo questa introduzione necessaria per fare il punto sulle reali motivazioni che stanno alla base di qualsiasi tipo di guerra, da quella puramente militare a quella condotta sul piano dei boicottaggi e delle macro manovre economiche, possiamo soffermarci sulla percezione che possiamo avere della realtà che ci circonda a seconda delle conoscenze di cui disponiamo.
Nessuno è mai riuscito a definire in modo soddisfacente l’intelligenza; qualcuno la intende come un’insieme di capacità ed attitudini individuali, come mera capacità di elaborare informazioni e metterle in correlazione funzionale tra loro, ed in altri modi ancora ma rimane il fatto che, posti in un contesto naturale, un asino, un macaco o un’oca sanno cavarsela molto meglio di quanto non avrebbero saputo fare Newton o Einstein. Gli stessi più diffusi test in realtà si basano più sull’attenzione e sulla capacità di concentrazione che sull’intelligenza vera e propria, concetto in realtà indefinibile in maniera assoluta.
Cosa possiamo dedurre da questo? Sostanzialmente due cose: che per affrontare con successo ogni problema è necessaria una particolare predisposizione a risolvere ogni tipo di problema e che un’adeguata conoscenza dei meccanismi che lo costituiscono può essere risolutiva.
Per gli animali, tutti più specializzati di noi a sopravvivere in un ambiente non tecnologico, i problemi di sopravvivenza si risolvono dando libero corso all’istinto e sfruttando le loro migliori attitudini acquisite con l’evoluzione, così degli erbivori come quelli citati se la caveranno reperendo senza grandi sforzi il cibo di cui necessitano mentre un gatto affronterà il problema della sopravvivenza cacciando le proprie prede preferibilmente di notte grazie al vantaggio offerto dalla finezza dei suoi sensi, dalla grande agilità e dalla potenza delle proprie armi.
L’uomo invece non può sperare di cavarsela così, data l’ottusità dei suoi sensi e l’inadeguatezza delle proprie dotazioni naturali: egli ha bisogno di congegnare qualcosa, per lo più dipendente dalla tecnologia di cui è capace. Perché la stessa condizione umana non può prescindere dalla tecnologia: è puramente illusorio immaginare di poterne prescindere, esattamente come sosteneva Pirsig nel suo Zen&The Art. L’Uomo è infatti un animale naturalmente tecnologico che almeno al suo attuale stadio evolutivo non sarebbe capace di sopravvivere senza tecnologia, a meno di un contesto ristretto ed estremamente favorevole come quello di una jungla equatoriale possibilmente priva di animali pericolosi: in pratica tali condizioni si potrebbero trovare quasi esclusivamente su pochissimi atolli felici spersi nell’oceano per cui, non solo la nostra esistenza si sarebbe dovuta forzatamente limitare ad essi  ma, nel caso di sviluppi paralleli di diversi nuclei umani a centinaia di miglia di distanza, non sarebbe neanche stato possibile un contatto tra gruppi.
Trasferito nel suo contesto naturale, che è quello tecnologico, l’uomo è capace di vivere in una varietà di contesti ambientali alla quale nessun animale saprebbe adattarsi solo grazie alle sue risorse, e quindi appare evidente come la conoscenza della tecnologia o almeno dei suoi principi funzionali non possa prescindere dalla formazione di qualsiasi individuo umano.
Invece, la scuola e la società che ne consegue sono strutturate in modo da riservare le conoscenze significative, quelle realmente utili alla nostra sopravvivenza, ad una ristretta cerchia di tecnici spesso al soldo del Sistema. Così nei secoli si è privilegiato l’insegnamento di  una cultura umanistica rispetto a quella scientifica, fino al punto di definire la prima "cultura" per eccellenza  e la seconda solo un insieme di conoscenze finalizzate allo svolgimento di una determinata professione o, “peggio”, di un mestiere. Ciò facendo finta di non sapere che la maggioranza dei grandi pensatori del passato erano innanzitutto degli uomini di scienza e solo di conseguenza filosofi e scrittori. La stessa scrittura, mezzo praticamente imprescindibile per gli umanisti, altro non è che una tecnologia di comunicazione.
La prevalenza delle materie umanistiche su quelle scientifiche nella formazione di gran parte dell’umanità sta alla base della diffusa incapacità di apprezzare la realtà. E questo vale sia per le fasce meno acculturate che per quelle che hanno avuto un accesso più facile alle conoscenze: molti ignoranti “totali” ignoreranno la natura dei principali fenomeni scientifici ma sapranno magari a memoria le parole di una canzone melensa o di qualche breve poesia, saranno in grado di tramandare oralmente qualche racconto o di far tesoro di racconti sentiti da altri; parallelamente, molte persone acculturate in materie esclusivamente umanistiche, avranno la stessa difficoltà degli ignoranti che magari disprezzano, a distinguere tra magia e tecnologia.
 La magia ed il soprannaturale non esistono
Ci avviciniamo all’essenza del discorso. Per una persona dalla mente intrappolata e zavorrata dai limiti delle conoscenze che ritiene imprescindibili, quale sarà il confine tra scienza e magia, quello tra reale e sovrannaturale? Senza dubbio questo limite si posizionerà esattamente nel punto in cui finisce la sua cultura scientifica: la possibilità di trasmettere immagini a distanza sarebbe stata classificata come magia dal più acculturato degli umani di un paio di secoli fa mentre è una cosa più che scontata anche per il meno acculturato ed intelligente contemporaneo. È quindi solo il livello tecnologico acquisito nel senso di accettato (non necessariamente conosciuto) che stabilisce questo limite.
Parallelamente, il limite tra possibile e sovrannaturale, è stabilito dal livello di conoscenza del metodo scientifico (non tanto dalla conoscenza della scienza in sé) condizionato dall’eventuale radicamento di una fede religiosa nella mente dell’individuo.
Negli ultimi anni, abbiamo visto come la fisica quantistica – per quanto sia ancora immatura ed imperfetta – abbia cominciato a risolvere quella dicotomia che si creò con la sopraffazione della civiltà romana su quella greca classica che per i secoli successivi ha separato e reso incompatibili i saperi scientifici ed umanistici: oggi, più s’indaga sulla vera natura delle cose e più ci si rende conto che non è possibile in realtà stabilire un preciso limite tra magia e tecnologia. Già la fisica accademica era giunta alla conclusione che la materia è composta da “nulla” ovvero da pura energia di cui ancor oggi non conosciamo la vera natura, che il corpo più denso di questo mondo può essere attraversato da particolari particelle o radiazioni come fosse completamente inconsistente e che due corpi non potranno mai trovarsi a vero contatto tra di loro in quanto questo presupporrebbe una fusione tra le orbite degli atomi che le compongono.
Allora che cos'è che riteniamo reale o possibile?
Ognuno di noi ha un suo limite, stabilito come abbiamo visto dal suo bagaglio culturale e dalla sua apertura critica verso l’incognito, e quindi ciò che consideriamo reale o possibile dipende esclusivamente da quanto ne sappiamo  di fisica, chimica, fisiologia e qualsiasi altra materia pertinente all’oggetto della nostra speculazione. Così, guarigioni “inspiegabili”, fenomeni fisici “impossibili” tecnologie “inesistenti” diventeranno del tutto plausibili quando riusciremo a guardare oltre le barriere conoscitive che hanno eretto attorno alla nostra mente e prescinderemo dai dogmi inculcatici fin da bambini.
Solo con tale apertura mentale sarà possibile prendere atto di alcune verità per altri palesi che sono frutto dell’utilizzo di tecnologie occulte e negate ma in realtà sperimentate e continuamente sviluppate che permettono a chi le possiede di interferire fino a condizionare significativamente fenomeni fisici ed ambientali. In questa luce, diventano perfettamente plausibili, quasi scontati, argomenti che riguardano la possibilità di alterare il clima e creare terremoti, alterare a comando il modo di pensare delle persone, alterare la personalità di un individuo fino al punto di indurlo a compiere qualsiasi tipo di azioni, sfruttare energie rinnovabili in modo da rendere superfluo ed obsoleto il ricorso alla combustione, sperimentare sistemi olografici globali ed antigravità, curare il cancro semplicemente intervenendo sulla dieta o perfino col semplice bicarbonato di sodio… .
Quello di cui ha urgentemente bisogno la nostra società è di superare l’era delle “bufale” in cui è sufficiente deridere pubblicamente e da alto loco un ricercatore eretico per ottenere un compatto fronte di opinione che, contro gl’interessi della stessa collettività mette in discussione parascientificamente e compulsivamente le scoperte invece di sfruttarle da subito a proprio vantaggio:  lo scetticismo è l’anticamera della fede, e la fede, non solo quella religiosa, è il cemento che salda e motiva le truppe degli utili idioti che, senza riuscire a capirlo per i limiti fissati dalle loro conoscenze, combattono una battaglia contro loro stessi.
Per questo sono importanti l’informazione e la cultura scientifica ovvero, a rigor di termini, la cultura.
Approfondimenti:
La funzione della scuola di Solange Manfredi
geoingegneria o modificazioni climatiche indotte
Utili idioti di Solange Manfredi