Una delle più grandi truffe perpetrate ai danni delle masse inconsapevoli è, appunto, quella di fare in modo che rimangano inconsapevoli.
Un’accurata disinformazione
è la norma da molto prima di quanto si possa immaginare: se ne parla come arma in modo
da modificare a proprio favore il campo di battaglia ovvero il contesto in
cui si svolgerà la disputa – poco importa se a livello militare, politico o
diplomatico – già in quell’Arte della Guerra risalente forse al VIsec. A.C. che molti grandi condottieri del passato e del
presente mostrano di aver studiato o quanto meno emulato nella filosofia, da
Giulio Cesare a Napoleone, dai leader comunisti a quelli globalisti anglosassoni.
Il Confucianesimo che ancora guida le strategie della classe dominante cinese
ha attinto a piene mani dagli scritti di Sun Tzu.
La differenza sostanziale tra l’arte della guerra concepita
in oriente e quella tipicamente occidentale non consiste tanto nelle tattiche
di battaglia – che dipendono in maniera determinante dalla tecnologia a
disposizione delle parti – ma nel concetto di onore. Per noi occidentali
intrisi di cultura cristiana ed umanistica, l’onore non prescinde dalla lealtà,
dall’altruismo, dal senso di giustizia, dal profondo rispetto per l’avversario anche
dopo la sua sconfitta mentre l’onore orientale si basa su ben altre virtù
pragmaticamente riassumibili nella capacità di vincere senza neanche dare battaglia.
Com’è possibile vincere senza neanche dare battaglia?
La disinformazione, la menzogna, l’inganno, la corruzione, i
rapimenti, la tortura, il genocidio selettivo, il plagio delle opinioni sono
tutte tecniche aborrite dalla nostra cultura (solo aborrite ma come vedremo, in
pratica utilizzate da sempre) mentre per quella orientale rappresentano solo
dei mezzi possibili per ottenere il fine ultimo che è quello della supremazia.
E se consideriamo tutte queste tecniche per quello che sono in realtà: delle
armi vere e proprie, comprendiamo immediatamente che, a parità di tecnologia e
dispiegamento di forze, tali armi “non convenzionali” costituiscono un
argomento determinante nello stabilire
le sorti di una disputa. La coscienza di questo aspetto fondamentale ma occultato dalla storia
ufficiale, permette di stabilire che a rigor di calcolo statistico è quasi
impossibile, anche in Occidente, che le guerre siano mai state vinte dai “buoni”.
Come abbiamo visto, quelli che la nostra visione del mondo classifica come
buoni sono quelli che in base a precetti cristiani e cavallereschi non si
abbasserebbero MAI E POI MAI (sembra di sentire il BUON Brancaleone alle
Crociate…) alla frode ed all’inganno ma unicamente ad affrontare la pugna
sorretti dalla loro fede e da una conoscenza approfondita del mestiere delle
armi.
In occidente, oltre alle idee di qualche leader illuminato e
vincente (almeno per un po’…), bisogna
aspettare Machiavelli per apprezzare in Occidente una filosofia che vada oltre
i concetti cavallereschi e religiosi.
Chi sono i buoni allora?
I perdenti, quelli che la storia dei vincitori ha dipinto
spesso come mostri sub-umani colpevoli - solo loro – delle più immonde
nefandezze, hanno tutte le probabilità di essere stati i veri buoni, quelli che
non sarebbero mai ricorsi a mezzi disonorevoli
per vincere e neanche per difendersi.
Leggendo così la Storia, questa volta con la maiuscola,
scopriamo che essa ha sempre funzionato al contrario di come ci è stato
spiegato ed insegnato: sono i cattivi inumani
che hanno tutte le probabilità di vincere ed hanno vinto, non certo i buoni
zavorrati come sono dalle loro coscienze.
Così come è da ingenui pensare che siano realmente mai state
combattute guerre motivate solo da nobili intenti come quelli di liberare un
popolo da un oppressore o da una minaccia: questi sono argomenti buoni solo per
racimolare i consensi ed il denaro sempre
necessari per qualsiasi grande impresa. Inoltre, un nobile fine o una minaccia
incombente costituiscono gli unici argomenti validi che possano convincere un
uomo a lanciarsi senza indugio in missioni di guerra, a meno che non si tratti
di un semplice mercenario.
In realtà tutte le guerre mai intentate hanno motivazioni
puramente economiche, nel senso ampio del termine, e non a caso Ezra Pound affermava
che chi non s’intende d’economia, non capisce affatto la storia.
La capacità di interpretare la realtà.
Dopo questa introduzione necessaria per fare il punto sulle
reali motivazioni che stanno alla base di qualsiasi tipo di guerra, da quella
puramente militare a quella condotta sul piano dei boicottaggi e delle macro manovre
economiche, possiamo soffermarci sulla percezione che possiamo avere della
realtà che ci circonda a seconda delle conoscenze di cui disponiamo.
Nessuno è mai riuscito a definire in modo soddisfacente l’intelligenza;
qualcuno la intende come un’insieme di capacità ed attitudini individuali, come
mera capacità di elaborare informazioni e metterle in correlazione funzionale
tra loro, ed in altri modi ancora ma rimane il fatto che, posti in un contesto
naturale, un asino, un macaco o un’oca sanno cavarsela molto meglio di quanto
non avrebbero saputo fare Newton o Einstein. Gli stessi più diffusi test in
realtà si basano più sull’attenzione e sulla capacità di concentrazione che
sull’intelligenza vera e propria, concetto in realtà indefinibile in maniera
assoluta.
Cosa possiamo dedurre da questo? Sostanzialmente due cose:
che per affrontare con successo ogni problema è necessaria una particolare predisposizione
a risolvere ogni tipo di problema e
che un’adeguata conoscenza dei meccanismi che lo costituiscono può essere
risolutiva.
Per gli animali, tutti più specializzati di noi a
sopravvivere in un ambiente non tecnologico, i problemi di sopravvivenza si
risolvono dando libero corso all’istinto e sfruttando le loro migliori
attitudini acquisite con l’evoluzione, così degli erbivori come quelli citati
se la caveranno reperendo senza grandi sforzi il cibo di cui necessitano mentre
un gatto affronterà il problema della sopravvivenza cacciando le proprie prede
preferibilmente di notte grazie al vantaggio offerto dalla finezza dei suoi
sensi, dalla grande agilità e dalla potenza delle proprie armi.
L’uomo invece non può sperare di cavarsela così, data l’ottusità
dei suoi sensi e l’inadeguatezza delle proprie dotazioni naturali: egli ha
bisogno di congegnare qualcosa, per
lo più dipendente dalla tecnologia di cui è capace. Perché la stessa condizione
umana non può prescindere dalla tecnologia: è puramente illusorio immaginare di
poterne prescindere, esattamente come sosteneva Pirsig nel suo Zen&The Art. L’Uomo è infatti un
animale naturalmente tecnologico che
almeno al suo attuale stadio evolutivo non sarebbe capace di sopravvivere senza
tecnologia, a meno di un contesto ristretto ed estremamente favorevole come
quello di una jungla equatoriale possibilmente priva di animali pericolosi: in
pratica tali condizioni si potrebbero trovare quasi esclusivamente su
pochissimi atolli felici spersi nell’oceano per cui, non solo la nostra esistenza
si sarebbe dovuta forzatamente limitare ad essi
ma, nel caso di sviluppi paralleli di diversi nuclei umani a centinaia
di miglia di distanza, non sarebbe neanche stato possibile un contatto tra
gruppi.
Trasferito nel suo contesto naturale, che è quello
tecnologico, l’uomo è capace di vivere in una varietà di contesti ambientali alla
quale nessun animale saprebbe adattarsi solo grazie alle sue risorse, e quindi
appare evidente come la conoscenza della tecnologia o almeno dei suoi principi
funzionali non possa prescindere dalla formazione di qualsiasi individuo umano.
Invece, la scuola e la società che ne consegue sono
strutturate in modo da riservare le conoscenze significative, quelle realmente
utili alla nostra sopravvivenza, ad una ristretta cerchia di tecnici spesso al
soldo del Sistema. Così nei secoli si è privilegiato l’insegnamento di una cultura umanistica rispetto a quella scientifica,
fino al punto di definire la prima "cultura" per eccellenza e la seconda solo un insieme di conoscenze finalizzate
allo svolgimento di una determinata professione o, “peggio”, di un mestiere.
Ciò facendo finta di non sapere che la maggioranza dei grandi pensatori del
passato erano innanzitutto degli uomini di scienza e solo di conseguenza
filosofi e scrittori. La stessa scrittura, mezzo praticamente imprescindibile
per gli umanisti, altro non è che una tecnologia di comunicazione.
La prevalenza delle materie umanistiche su quelle
scientifiche nella formazione di gran parte dell’umanità sta alla base della
diffusa incapacità di apprezzare la realtà. E questo vale sia per le fasce meno
acculturate che per quelle che hanno avuto un accesso più facile alle conoscenze:
molti ignoranti “totali” ignoreranno la natura dei principali fenomeni
scientifici ma sapranno magari a memoria le parole di una canzone melensa o di
qualche breve poesia, saranno in grado di tramandare oralmente qualche racconto
o di far tesoro di racconti sentiti da altri; parallelamente, molte persone
acculturate in materie esclusivamente umanistiche, avranno la stessa difficoltà
degli ignoranti che magari disprezzano, a distinguere tra magia e tecnologia.
La magia ed il soprannaturale non esistono
Ci avviciniamo all’essenza del discorso. Per una persona
dalla mente intrappolata e zavorrata dai limiti delle conoscenze che ritiene
imprescindibili, quale sarà il confine tra scienza e magia, quello tra reale e sovrannaturale? Senza dubbio
questo limite si posizionerà esattamente nel punto in cui finisce la sua
cultura scientifica: la possibilità di trasmettere immagini a distanza sarebbe stata
classificata come magia dal più acculturato degli umani di un paio di secoli fa
mentre è una cosa più che scontata anche per il meno acculturato ed
intelligente contemporaneo. È quindi solo il livello tecnologico acquisito nel
senso di accettato (non necessariamente conosciuto) che stabilisce questo
limite.
Parallelamente, il limite tra possibile e sovrannaturale, è
stabilito dal livello di conoscenza del metodo scientifico (non tanto dalla
conoscenza della scienza in sé) condizionato dall’eventuale radicamento di una
fede religiosa nella mente dell’individuo.
Negli ultimi anni, abbiamo visto come la fisica quantistica –
per quanto sia ancora immatura ed imperfetta – abbia cominciato a risolvere quella
dicotomia che si creò con la sopraffazione della civiltà romana su quella greca
classica che per i secoli successivi ha separato e reso incompatibili i saperi
scientifici ed umanistici: oggi, più s’indaga sulla vera natura delle cose e
più ci si rende conto che non è possibile in realtà stabilire un preciso limite
tra magia e tecnologia. Già la fisica accademica era giunta alla conclusione
che la materia è composta da “nulla” ovvero da pura energia di cui ancor oggi
non conosciamo la vera natura, che il corpo più denso di questo mondo può
essere attraversato da particolari particelle o radiazioni come fosse
completamente inconsistente e che due corpi non potranno mai trovarsi a vero
contatto tra di loro in quanto questo presupporrebbe una fusione tra le orbite
degli atomi che le compongono.
Allora che cos'è che riteniamo reale o possibile?
Ognuno di noi ha un suo limite, stabilito come abbiamo visto
dal suo bagaglio culturale e dalla sua apertura critica verso l’incognito, e
quindi ciò che consideriamo reale o possibile dipende esclusivamente da quanto
ne sappiamo di fisica, chimica, fisiologia
e qualsiasi altra materia pertinente all’oggetto della nostra speculazione. Così,
guarigioni “inspiegabili”, fenomeni fisici “impossibili” tecnologie “inesistenti”
diventeranno del tutto plausibili quando riusciremo a guardare oltre le barriere
conoscitive che hanno eretto attorno alla nostra mente e prescinderemo dai
dogmi inculcatici fin da bambini.
Solo con tale apertura mentale sarà possibile prendere atto
di alcune verità per altri palesi che sono frutto dell’utilizzo di tecnologie occulte
e negate ma in realtà sperimentate e continuamente sviluppate che permettono a
chi le possiede di interferire fino a condizionare significativamente fenomeni
fisici ed ambientali. In questa luce, diventano perfettamente plausibili, quasi
scontati, argomenti che riguardano la possibilità di alterare il clima e creare
terremoti, alterare a comando il modo di pensare delle persone, alterare la
personalità di un individuo fino al punto di indurlo a compiere qualsiasi tipo
di azioni, sfruttare energie rinnovabili in modo da rendere superfluo ed
obsoleto il ricorso alla combustione, sperimentare sistemi olografici globali ed
antigravità, curare il cancro semplicemente intervenendo sulla dieta o perfino col
semplice bicarbonato di sodio… .
Quello di cui ha urgentemente bisogno la nostra società è di
superare l’era delle “bufale” in cui è sufficiente deridere pubblicamente e da
alto loco un ricercatore eretico per ottenere un compatto fronte di opinione
che, contro gl’interessi della stessa collettività mette in discussione
parascientificamente e compulsivamente le scoperte invece di sfruttarle da
subito a proprio vantaggio: lo
scetticismo è l’anticamera della fede, e la fede, non solo quella religiosa, è
il cemento che salda e motiva le truppe degli utili idioti che, senza riuscire a capirlo per i limiti fissati
dalle loro conoscenze, combattono una battaglia contro loro stessi.
Per questo sono importanti l’informazione e la cultura
scientifica ovvero, a rigor di termini, la cultura.
Approfondimenti:
La funzione della scuola di Solange Manfredi
geoingegneria o modificazioni climatiche indotte
la terapia col bicarbonato di sodio di Tullio Simoncini
Utili idioti di Solange Manfredi