martedì 6 agosto 2019

Quando ancora se ne poteva parlare

Quando cerco di spiegare ai più giovani i fenomeni involutivi che ha subìto la società italiana negli ultimi decenni mi scontro con la loro incapacità di concepire un mondo diverso e migliore di questo. Molti di loro sono convinti "che sia tutto oro quel che luccica" solo per citare una strofa di Stairway To Heaven, una delle più belle canzoni di tutti i tempi che la stragrande maggioranza dei millennials non a caso ignora.
Le spiegazioni argomentate servono a poco: quello che si otterrà è disinteresse,  incredulità o al massimo compassione per la persona che sta loro di fronte. Tuttavia si può sfruttare ciò che l'informatica ci mette a disposizione per far riflettere i ragazzi. Basterebbe infatti proiettare a scuola una delle classiche commedie all'italiana degli anni '60 e poi chiedere ai ragazzi secondo loro cosa nella società è cambiato in meglio e cosa in peggio. Può darsi che i più brillanti
tra di loro si accorgano subito che era la gente stessa ad essere più semplice e disincantata. Poi potrebbero accorgersi che lo Stato con le sue leggi e le sue istituzioni era meno invadente nella vita della gente e che - soprattutto - le parole avevano un significato ben preciso e descrivevano la realtà per quello che era. Si accennava senza paura ad argomenti che oggi sono censurati dai media di regime: si scherzava sulle razze umane e sulle ineludibili differenze tra maschi e femmine, sui vizietti privati e sulle pubbliche virtù, s'ironizzava sulle tendenze sessuali della gente e sulle stranezze comportamentali dei musulmani. Insomma era un mondo più libero e veritiero. Basta guardare un film di Totò o anche più realista e meno ridereccio per rendersi conto che le azioni normali e quotidiane di tutti i personaggi dei film oggi sarebbero severamente perseguite dal Codice Penale. Con un mio amico scherzo sempre sul fatto che in una nostra giornata-tipo di quando avevamo vent'anni (anni '70) pur senza fare nulla di male ma applicando i criteri odierni, vi si sarebbero potuti ravvisare decine di reati - perfino di una certa gravità - da noi compiuti ogni giorno nella nostra normalissima vita di paese. Qualche esempio? 
Andare in moto senza casco (obbligo introdotto nel'86) che comunque usavamo tutti per trasferimenti più veloci ed extraurbani ma in ambiente urbano ci sembrava non solo scomodo ma anche da esibizionisti. Gran parte degli incidenti mortali avvengono in territorio urbano? Sì, lo so, a allora? Rimane il fatto che il casco in città può risultare molto scomodo soprattutto quando fa caldo, fonte d'incidenti esso stesso per la minore percezione ambientale che offre, aggravare il carico sulle vertebre cervicali in caso d'incidente, contrastare con le leggi che vietano di mascherare il volto e perfino spingere il guidatore ad andare più forte, stante la maggior sicurezza che illude di assicurare.
Guidare anche dopo aver bevuto qualcosa di alcolico: era una cosa più che normale e non ricordo incidenti causati dall'alcool ma solo dalla guida veloce oppure dall'incoscienza di qualche altro utente della strada quando eravamo tutti sempre perfettamente sobri. L'alcool infatti non induce a correre ma a riflettere, ciò almeno nelle personalità non disturbate. Ricordo addirittura che quando vedevamo qualcuno che guidava esageratamente piano davanti a noi, la domanda che ci ponevamo sempre era "Ma che: è ubriaco?" E poi, viaggiando spesso in autostrada in pieno inverno, mi capitava altrettanto spesso di fermarmi a prendere un caffè corretto con la sambuca oppure un liquore al caffè. Era la norma ma ora non si può più.

Quando ancora ci si poteva interrogare sui RosaCroce: